ZONA CALDA – Coppa Italia, Fiorentina-Inter: l’analisi della partita

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Lo Stadio Olimpico di Roma ha ospitato ieri sera l’atto finale della Coppa Italia tra Inter e Fiorentina in una sfida molto interessante in quanto metteva di fronte due stili di gioco molto riconoscibili e dal cui contrasto potevano emergere contenuti tecnici e tattici molto interessanti.

Le premesse sono state rispettate, Inter e Fiorentina ci hanno regalato una partita molto aperta e tatticamente interessante e che ha premiato alla fine la formazione di Simone Inzaghi, costretta tante volte a sbagliare dalla formazione di Italiano ma che ha saputo sfruttare meglio gli errori avversari per portare a casa la partita.

Andiamo ad analizzare cosa ha reso così divertente la finale di Coppa Italia vinta dai nerazzurri.

Le scelte di formazione

Inzaghi sceglie il suo classico 3-5-2, le varianti attese erano una per reparto: in porta Handanovic viene confermato portiere di coppa lasciando Onana in panchina, a centrocampo l’assente Mkhitaryan viene sostituito da Brozovic spostando quindi Calhanoglu più avanti, in attacco Dzeko viene preferito a Lukaku.

Italiano sceglie per il suo 4-3-3 di schierare Martinez Quarta al fianco di Milenkovic al centro della difesa, mentre a centrocampo al fianco di Amrabat assieme a Bonaventura viene schierato Gaetano Castrovilli mentre Nico Gonzalez ed Ikone giocano ai fianchi di Cabral in attacco.

L’Inter contro la pressione a uomo della Fiorentina

La doppia semifinale di Champions League contro il Milan e lo stesso ultimo precedente in campionato tra i nerazzurri ed i viola avevano mostrato come l’Inter fosse in grado con i movimenti dei propri centrocampisti di saper manipolare i sistemi di pressione basati sulle marcature individuali per creare linee di passaggio dirette verso le due punte.

La partita dell’Olimpico non smentisce quanto sopra ed anzi diventa il principale tema tattico della partita: la formazione nerazzurra cercava di superare la prima pressione della Fiorentina con la formazione viola che cercava di uscire individualmente sui tre centrali dell’Inter ostacolando le linee di passaggio dirette verso le punte.

Questa sfida tattica è quella che racconta buona parte della partita: il goal con cui la Fiorentina sblocca la partita dopo 3 minuti nasce proprio da un tentativo della formazione nerazzurra di cercare in verticale le due punte, Dodo’ legge la giocata sul lancio di Acerbi, anticipa Lautaro e fa partire la transizione che permette ad Ikone di servire a Nico Gonzalez il goal del vantaggio viola.

Con l’andare avanti della partita l’Inter ha cercato di manipolare diversamente le marcature individuali della formazione di Italiano, in particolare lo ha fatto chiedendo a turno ad una delle due punte di tagliare lateralmente per portarsi via il centrale e creare uno spazio per gli inserimenti alle spalle degli esterni o di Calhanoglu. Questo movimento delle punte unito all’aggressione alta della Fiorentina ha progressivamente dilatato le distanze tra i giocatori viola e l’Inter ne ha approfittato per confondere il reparto arretrato avversario, apparso poco sincronizzato in occasione di entrambe le reti.

A conferma di questo approccio voluto dai nerazzurri, andando a consultare le posizioni medie si può notare come i tre di centrocampo abbiano creato un triangolo in cui il turco è il vertice avanzato, proprio con lo scopo di attaccare gli spazi creati dalle punte e Barella e Calhanoglu che restano legati ai costruttori per attrarre la pressione.

La costruzione e lo sviluppo del gioco della Fiorentina

La formazione viola in questa stagione ci ha abituato in corso d’opera a proporre diverse strategie per costruire e sviluppare l’azione, questo per ovviare sia a come l’avversario porta la propria pressione sia per venire incontro alle caratteristiche dei giocatori in campo.

Italiano ci ha abituato in questa stagione a partire con un sistema di costruzione basato su un rombo generalmente composto dai due difensori centrali, il vertice basso del centrocampo (generalmente Amrabat) ed uno dei due terzini che si accentra al fianco del centrocampista (generalmente Dodo).

Lo sviluppo del gioco, invece, si è mostrato progressivamente più articolato, alternando a seconda delle circostanze, l’utilizzo delle catene laterali formate da terzino, mezzala e attaccante esterno così come il riempimento della zona rifinitura, ossia lo spazio tra difesa e centrocampo avversario.

Alla fine la scelta di Italiano è stata molto chiara in tal senso, con il rombo di costruzione punto fermo della fase di costruzione, ma con una variazione interessante sul tema, ossia quella di spostare Martinez Quarta vertice avanzato di questo rombo con Amrabat spostato come vertice sinistro e Dodo a destra; successivamente le cose sono cambiate per lasciare libertà a Dodo’ di sganciarsi abbassando Castrovilli a costruire al fianco di Amrabat e riportando Martinez Quarta in una posizione più canonica.

Questo rombo aveva lo scopo di creare connessioni tra i quattro giocatori per muovere la palla ma, soprattutto con la mossa Castrovilli, di attirare la pressione dell’Inter per poterci giocare alle spalle, una mossa che spesso ha funzionato nel primo tempo permettendo spesso e volentieri a Bonaventura di ricevere tra le linee.

Una volta superata la prima pressione, infatti, l’approccio iniziale della Fiorentina è stato quello di cercare di riempire la zona centrale del campo per crearsi situazioni favorevoli con Bonaventura, Nico Gonzalez ed Ikone che potevano giocare fronte alla porta e creare situazioni di grande pericolo, tuttavia i giocatori viola, come spesso accade, perdono l’occasione portando la palla quel secondo in più che permette agli avversari di sistemarsi, così da queste situazioni tattiche molto favorevoli la Fiorentina ha raccolto solo una serie di conclusioni dalla lunga distanza.

Sostanzialmente nel primo tempo abbiamo visto insieme tutti i pregi ed i difetti di questa squadra che Italiano ha plasmato con questa identità aggressiva e dominante ma che allo stesso tempo si perde sul più bello.

Nel secondo tempo, invece, la Fiorentina ha provato a proporre soluzioni diverse per poter accedere in area di rigore, così mantenendo la stessa struttura in costruzione e progressione dell’azione, una volta arrivati sulla trequarti il pallone veniva scaricato esternamente sui terzini per arrivare al cross attaccando l’area anche con cinque uomini, come accaduto nell’occasione avuta da Cabral al 57’. Non è un caso che le migliori occasioni per la formazione viola nella ripresa siano arrivate da palle laterali eccetto quella più importante capitata sui piedi di Jovic e respinta da Handanovic a seguito di una rapida verticalizzazione al 79’.

Il gioco di transizioni

In genere le partite tra formazioni italiane lasciano più spazio alla ricerca del controllo ed alla minimizzazione dei rischi, per questo motivo confrontando una partita di serie A con una di Premier o di Bundesliga ci sembra di seguire delle partite a velocità diverse. Fortunatamente in questa finale di Coppa Italia Inter e Fiorentina hanno dato ritmo alla partita grazie ad una continua presenza di transizioni e di duelli.

Le transizioni sono state anch’esse un elemento centrale a livello tattico di questa partita e come l’ha influenzata nel primo e nel secondo tempo.

Nel primo tempo la pressione della Fiorentina portava l’Inter a dover accelerare molto le giocate e spesso queste giocate terminavano con un passaggio sbagliato o intercettato dai giocatori viola da cui si generavano situazioni di transizione; tuttavia, come già descritto precedentemente, gli uomini di Italiano non sono stati in grado di capitalizzare queste situazioni sbagliando a loro volta le scelte su come gestire queste situazioni di transizione esponendosi quindi a propria volta alle transizioni avversarie.

La situazione che porta al pareggio di Lautaro Martinez nasce proprio da una transizione a favore della Fiorentina sprecata da Bonaventura da cui parte una ripartenza dell’Inter che trova la squadra viola allungata ed impreparata con la linea difensiva non in grado di leggere le situazioni di palla scoperta con i due centrali che fanno un movimento opposto (Milenkovic che scappa dietro e Martinez Quarta che scappa in avanti) che permette all’attaccante argentino di ricevere palla solo in area di rigore.

Tra l’altro questa mancanza di sincronia tra i due centrali difensivi viola è stata fatale anche in occasione del raddoppio nerazzurro, sicuramente eseguito bene tra assist di Barella e girata al volo di Lautaro, ma con grossa collaborazione del reparto arretrato viola.

Anche nel secondo tempo le situazioni di transizione non sono mancate, questa volta per il calo fisico di diversi elementi da ambo le parti che hanno portato le squadre ad allungarsi ed a creare diversi capovolgimenti di fronte. Questa situazione ha reso molto godibile la partita con diverse conclusioni da ambo le parti, ma ha preoccupato parecchio Simone Inzaghi che ha scelto di cautelarsi togliendo Calhanoglu per inserire Gagliardini, un cambio molto conservativo che ha portato Lukaku a restare isolato e l’Inter ad abbassarsi fino a subire l’assedio finale in cui la Fiorentina ha ancora sfiorato ripetutamente la rete ma senza riuscire a superare Handanovic.

Cosa lascia questa finale ad Inter e Fiorentina

Alla fine di questa partita resta uno spettacolo molto interessante anche dal punto di vista del ritmo e dell’intensità, sicuramente non una cosa che vediamo spesso nel calcio italiano e questo rappresenta un buon segnale per le due squadre in vista delle rispettive finali europee.

All’Inter resta la consapevolezza di essere riuscita a adattarsi al contesto tattico della partita pur soffrendo parecchie difficoltà nella gestione del possesso e nella riuscita del piano di cercare direttamente le punte nella prima fase di partita, così come l’abbassamento nella parte finale del match che a differenza della Fiorentina difficilmente verrà graziato dai giocatori a disposizione del Manchester City.

Alla formazione di Italiano resta un grosso rammarico per una partita che poteva finire con un altro risultato, la propensione al rischio di questa squadra resta un elemento di grande progresso per il calcio italiano, ma ancora una volta la Fiorentina è caduta vittima di alcune sue debolezze. Pradè nel post-partita ha difeso a spada tratta questo approccio della sua squadra, una mossa senza dubbio condivisibile considerando che la formazione viola ha ancora una finale da giocare, ossia quella di Conference League contro il West Ham, dove magari gli errori di oggi potranno essere da insegnamento, come è giusto che sia nel calcio.

 

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